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Visualizzazione dei post da agosto, 2009
"La realtà delle carceri italiane" è il titolo di un interessante articolo del dr. Giovanni Borsato inserito nel blog http://comunitadivillorba.blogspot.com/.

Cosa posso fare io?

Inserisco una parte della riflessione scritta da don Franco Marton, sacerdote della diocesi di Treviso. Il testo integrale della riflessione sarà pubblicato in appendice al libro-intervista di don Pietro Zardo. _______________________ Dalla bella intervista a don Pietro prendo lo spunto per una domanda provocatoria: di fronte a fatti che contraddicono il Vangelo, i cristiani devono parlare o tacere? Scrivo queste riflessioni nei giorni d’agosto del 2009, in cui le carceri scoppiano per il sovraffollamento e i barconi di immigrati continuano a colare a picco. Sugli immigrati si sono sentite parole di denuncia sulla disumanità e ostilità delle nostre leggi. Da parte di vescovi e, meno nette, da parte di comunità cristiane. Ma sulle carceri la comunità cristiana nel suo insieme è silenziosa, anche se il problema si fa drammatico. Perché? C’è una resistenza profonda e sorda dei cristiani a farsi carico dei carcerati. Viene da lontano. Nei caldi anni Settanta frequentavo il carcere minorile

Il processo, una riflessione di don Carmelo La Rosa

Ricevo e pubblico! Conosco don Carmelo da diversi anni: nel 2006 mi rilasciò anche un'intervista che ho inserito nel mio libro intitolato "Autorità e responabilità nella Chiesa cattolica" (edizioni del noce - Camposampiero). Con don Carmelo sto approfondendo, in questi ultimi tempi, alcuni aspetti della vita carceraria. Qui di seguito inserisco una sua riflessione. ________________ Uno di voi è il Messia, e voi non lo sapete - rispose un eremita consultato dal priore di un convento in cui era scomparsa l’armonia -. Da quel giorno i frati cominciarono a guardarsi in modo diverso, ad andare oltre i limiti personali e scoprire in ognuno i lineamenti del Messia (Anonimo). Il giudice saccente provocava don Stiefen Kurti: “ Prete, dov’è il tuo Dio? Sei nelle mie mani, posso fare di te quello che voglio ”. Don Stiefen, con la sapienza degli uomini spirituali, rispose tranquillo: “ Dio non è un gatto, signor Giudice, che se lo tocchi ti graffia. Dio agisce con calma, ma verrà un

da "Il Gazzettino", edizione di Treviso, p. III

Venerdì 21 Agosto 2009, ( Antonella Federici ) Uscirà ai primi di settembre il libro in cui don Pietro Zardo , cappellano delle carceri di Treviso, racconta la sua esperienza a Carlo Silvano, direttore della collana " Questioni di identità " della Edizioni OGM; Silvano è autore di altre pubbicazioni. Il testo sotto riportato è preso dalla bozza definitiva del libro, ed è stato scelto con riguardo in particolare al territorio trevigiano e ai rapporti di don Zardo con i detenuti qui presenti e con fatti avvenuti nella Marca. Molto altro nel testo riguarda invece più vaste questioni di religione e di avvicinamento di un prete cattolico alla massa di detenuti che viene da molte parti del mondo e da "credi" assolutamente diversi tra loro, a volte lontanissimi dalla chiesa, religione ufficiale dello Stato italiano. L’insieme dello scritto che è uscito dalla lunga "intervista" è molto interessante: un raro contributo che può servire come inform

Quando il carcere devasta i familiari dei detenuti

Una nuova riflessione che - per motivi di spazio - propongo solo in parte. A scriverla è Lorella Sanguanini impegnata, anche su Facebook , a sensibilizzare l'opinione pubblica sulla reale situazione carceraria in Italia. La versione integrale di questa importante testimonianza sarà riportata nel libro-intervista a don Pietro Zardo. Un giorno ormai lontano - ma solo nel tempo -, agli inizi degli anni ’90, quando tentavo di ricostruire il rapporto con il mio compagno (nonché padre di mia figlia), la mia vita cambiò. Non ebbi quasi il tempo di scendere dall’auto al rientro a casa, che lo portarono via, ammanettandolo e spingendolo in auto, sotto i miei occhi, senza volermi dare alcuna spiegazione. In quel preciso istante il mio pensiero andò a mia figlia e ringraziai il caso, più unico che raro, che non fosse con me. Ricordo la corsa in caserma, le lacrime che mi scendevano parlando al telefono con l’avvocato; non volevano dirmi niente, non potevo parlargli, tanto meno vederlo. Dopo u

Crimini di guerra e... non solo

Ricevo una nuova riflessione sull'intervista rilasciatami da don Pietro Zardo. A scriverla è l'avv. Maria Bortoletto, consigliere provinciale dell'Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia. La Seconda guerra mondiale ha lasciato uno strascico di crimini compiuti ai danni delle popolazioni civili come mai era accaduto nel passato. E’ anche vero però che, a differenza del passato, per la prima volta nella storia, i responsabili di questi crimini sono stati processati e condannati dai Tribunali speciali creati appositamente dai vincitori a guerra finita (vedi Norimberga, Tokio, ecc.). Un tempo era la Storia e non gli uomini a giudicare i vinti e i vincitori. Fu dunque un atto di giustizia? Certamente sì, perché i crimini compiuti, per esempio dai tedeschi in Europa e dai giapponesi in Asia, meritavano una giusta punizione. Ma non si può tuttavia non sottolineare che la “giustizia” applicata da quei Tribunali speciali non fu del tutto imparziale. Erano infatti i vincito
Il magistrato Domenico Airoma ha recentemente letto l'intervista a don Pietro Zardo e, da questa lettura, ha preso lo spunto per offrire la riflessione che segue. O Signore, ascolta la mia preghiera per i giudici. Devono ascoltare molte storie: dà loro orecchie per udire l'onesta verità. Devono distribuire la giustizia come Re Salomone: dà alle loro menti la necessaria saggezza. Devono condannare crudeltà e ingiustizia: dà loro misericordia e forza. (…) Mirabile e terribile l’incipit della preghiera di madre Teresa di Calcutta per i giudici. Mirabile perché racchiude in sé tutta la deontologia del giudice. Terribile perché è la misura di quanto sia diverso, oggi, il sentire ed il fare dei giudici. Cosa ha reso così distanti i giudici da quel modello? Riprendendo le parole di madre Teresa, è da tempo ormai che i giudici si sono resi sordi alla Verità. La verità. E’ questo il tormento di ogni giudice: come fare per avvicinarsi il più possibile al vero e rendere giusta la sentenz

Il carcere di Treviso, la parola a don Pietro Zardo

Anticipo una parte della lunga intervista rilasciatami da don Pietro Zardo. Don Piero, cosa ha provato la prima volta che è entrato in un carcere? Ho conosciuto il mondo carcerario nel 1996: prima di allora non ero mai entrato in un penitenziario. Quando penso al mio primo ingresso, ricordo che provai un'emozione molto strana, per certi aspetti impressionante: capisci subito di trovarti in un ambiente difficile. Percorrere corridoi e locali di un edificio dove si sentono grida e dove vedi dappertutto cancelli, porte, chiavi, sbarre, ti costringe a interrogarti sul senso della libertà e ti chiedi dove sei finito. Il carcere è un luogo disumano dove vige la regola della sopravvivenza. Ciascuno vive per sé. Non esiste quel sistema relazionale che ti permette uno scambio di sentimenti umani, come quelli legati all'accoglienza, alla fiducia, alla solidarietà. Non ci sono aree comuni e anche i pasti vengono consumati in cella. Col tempo non mi sono più posto certe domande e sono cres