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Dio è anche dietro le sbarre

Oggi pomeriggio mi è capitato sottomano un appunto preso qualche anno fa, dopo una conversazione con don Pietro Zardo in merito alla realtà del carcere di Treviso...: "Più che atei, in carcere ho conosciuto gente che si trova dispersa, che non è interessata a cercare, che è indifferente a tutta una serie anche di altre cose da un punto di vista di umanità. C'è poi una grossa fetta che ha una percezione “magica” del trascendente, penso ad esempio alla popolazione rom. Un senso vago di un Dio che può punire, e che è uguale per tutti, ma non è sentita dentro profondamente come esperienza personale. Questo rende difficile un dialogo religioso. Pensando ai carcerati di fede islamica, poi, c'è da dire che nella tradizione musulmana non c'è la cura di chi ha sbagliato. Il reo viene tagliato fuori e reintegrato nella comunità soltanto una volta scontata la pena. Ci sono celle dove il tema religioso non viene assolutamente toccato, altre dove ci si confronta tra religioni diverse in maniera serena e pacata, e quando i musulmani si trovano la sera a pregare, i cattolici spengono la televisione in segno di rispetto, e anche viceversa".

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