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Rosa Passarelli, Impariamo ad ascoltare i nostri ragazzi

Liberi reclusi ci sentiamo in molti, in questa società che lascia poco spazio a noi stessi, perché abbiamo dimenticato di ascoltare il nostro Io. Se lo ascoltassimo, impareremmo che apparire vincente ad ogni costo non soddisfa la serenità interiore e sociale, raggiungibile soltanto con la consapevolezza che la diversità è il punto di forza per vivere in armonia; capiremmo che abbiamo perso di vista i reali bisogni dell’essere umano, non curandoli fin dall’infanzia e sentendoci inevitabilmente soli ed indifesi, in un mondo che cambia velocemente.
Queste e molte altre riflessioni, hanno suscitato in me le pagine del libro di Carlo Silvano, che, attraverso le storie dei ragazzi-detenuti e le testimonianze degli specialisti che operano per loro, mi hanno fatto ripercorrere il viaggio dei miei ultimi 25 anni. Durante questo periodo ho raccolto le storie di ragazzi stranieri e italiani, cresciuti in fretta e male, col peso sulle spalle di una pubertà che non è stata affatto facile, di una vita bastarda che non ha mai concesso loro la possibilità di gioire, in una società che giudica, fa la guardona e condanna, ma che non muove un dito perché le loro vite possano cambiare.

La copertina della terza edizione del libro "Liberi reclusi. Storie di minori detenuti"

A fronte di chi si è salvato, ho visto altri che si son persi per strada, imboccando vie tortuose, le stesse descritte nel libro che invito tutti a leggere. In questi anni in veste di poliziotta del Commissariato di Conegliano e di delegato del Sindacato Autonomo di Polizia, ho svolto il mio lavoro di prevenzione e repressione e di rappresentante sindacale, credendo fermamente nel recupero di chi ha commesso un reato e convincendomi che le sorti di questi ragazzi inevitabilmente riguardano tutti noi. Noi genitori che, terminato l’orario di lavoro, facciamo rientro nelle nostre case e ci occupiamo dei nostri figli che sono loro coetanei, e che insieme a loro saranno il futuro della nostra comunità.
I Liberi reclusi descritti nel libro e che s’incontrano all’interno delle mura dell’unico Istituto penale dei minorenni del Triveneto, sono quegli adolescenti a cui son mancati punti di riferimento. Ognuno con la sua storia, raccontano di un degrado culturale ed umano, raccontano di mancanze subite, di diritti all’infanzia violati. A loro non è stata concessa la spensieratezza del gioco, che avrebbe permesso la conoscenza di se stesso, per acquisire il coraggio di mettersi in discussione, di affrontare il pericolo, di sbagliare per imparare a non farlo più, di cadere per poi rialzarsi, di gestire le proprie emozioni in positivo. A loro non è stato concesso il piacere di un focolare che avrebbe trasmesso quel calore e quel senso di protezione indispensabili per sentirsi protagonisti della propria esistenza. Ognuno di loro non ha potuto contare sul tempo che i genitori gli avrebbero dovuto dedicare, impegnati come erano a far carriera o a sbarcare il lunario.

Luisa Bonaveno, psicologa presso l'Istituto penale dei minorenni

La lettura del libro induce a riflettere su un punto: nella nostra società non c’è più tempo per l’ascolto, perché il tempo è denaro e per ascoltare si spreca tempo. Non c’è più tempo per il gioco sostituito con il regalo bello e costoso. Non c’è più tempo nemmeno di desiderare qualcosa, perché questo sentimento richiederebbe il dialogo tra genitore e figlio, e permetterebbe di comprendere che le cose si ottengono con la fatica, con la pazienza e con l’impegno, e che vanno meritate e conquistate. Ma il dialogo ha bisogno del tempo e non c’è tempo se non per se stessi.
Il ragazzino oggi è considerato una "macchina da guerra": deve essere un ottimo studente, atleta, musicista, attore, pittore. Anche la sua capacità di apprendimento deve rientrare in uno standard predefinito, altrimenti è un perdente, un buono a nulla, un disadattato, un individuo disturbato, un inetto della società che va isolato, un mostro. Non si rispetta più il suo bisogno di capire, di osservare, di analizzare, perché anche l’insegnamento deve rientrare nel circuito vizioso del tempo e bisogna fare in fretta, apprendere alla velocità della luce tante nozioni, tanti numeri, tanti concetti. Alla fine non interessa a nessuno il sapere, non interessa a nessuno percepire i disagi dell’adolescente che chiederebbe di essere ascoltato ed amato ed invece si sente tanto solo, indifeso e deluso dal comportamento dei grandi che avrebbero dovuto proteggerlo e sostenerlo nelle sue naturali paure.
Questa società si deve interrogare su cosa vuole costruire per le generazioni future, perché per ora sta soltanto distruggendo quello che di più sacro possa esistere: la Famiglia!
Uno Stato che si reputa democratico ha l’obbligo primario di salvaguardare il primo importante Istituto giuridico dentro il quale prendono vita le dinamiche comportamentali dell’individuo, del Minore che diventerà l’Uomo del domani, sintesi del suo trascorso psicologico- affettivo e culturale. Un grande Uomo è stato un bambino amato e curato fisicamente e mentalmente all’interno della propria Famiglia; a sua volta sarà lui stesso capace di amare e di relazionare con i propri simili, in un armonico equilibrio di energie positive con la natura, solo perché glielo hanno insegnato.
Soprattutto negli ultimi anni, invece, abbiamo assistito ad un susseguirsi di politiche sulla Famiglia ed in modo particolare sull’Infanzia del tutto inesistenti; di contro si è preteso un maggiore impegno per aumentare a dismisura la produzione, ed ora ne paghiamo lo scotto. Il messaggio mediatico di questi anni è stato: "produrre ricchezza materiale per essere felici", apparire e possedere a discapito dell’essere e col tempo l’uomo si è smarrito e con lui tutti i valori etici-morali che costituiscono i presupposti di una società sana ed equilibrata.

Simonetta Rubinato (deputato a Montecitorio) e Carlo Silvano

Il concetto di Libertà tanto caro ad una Democrazia e di cui il libro di Carlo Silvano traccia i contenuti in tutte le sue sfumature, si è trasformato in licenza di fare ciò che si vuole, impotenti a far rispettare le regole, perché in tanti fanno fatica a rispettarle! In questo marasma generale siamo Liberi reclusi, incapaci di interagire con culture diverse che i tempi ci invogliano ad incontrare, perché siamo vuoti dei Valori che appartengono alla nostra Storia. Siamo avvelenati dall’idea malsana che il Bello equivarrebbe a Detenere il Potere, non importa se con mezzi illeciti ed immorali. In questa idea malata di società, il nemico da combattere diventa l’intruso, il diverso, colui che fa paura con la sua presenza, perché non siamo in grado di combattere il vero ostacolo che si trova dentro di noi. Non siamo in grado di combattere la nostra pigrizia perché disabituati a farlo, a discapito delle battaglie condotte dai nostri antenati.
Non ci rendiamo conto che mentre noi siamo distratti da altro, una parte dei nostri ragazzi interagisce con coetanei che provengono da altre culture, condividendo con loro esperienze negative. Molto spesso sono i nostri ragazzi ad utilizzare come manovalanza quelli che noi ci ostiniamo a definire i nostri nemici, per commettere spaccio di droga, furti, violenze su persone e cose. I figli del benessere condividono esperienze criminali con i figli dei disadattati, degli ultimi, dei diversi, del nemico da combattere. La nostra ottusità non libera la mente da preconcetti tanto errati e dannosi da ostacolare una sana politica di salvaguardia dei nostri valori che sappia esprimere l’accoglienza, convinti come siamo che riusciremo a vivere bene solo isolandoci, perché ci reputiamo migliori, perché siamo convinti di essere una razza superiore.
Eppure sono i nostri figli, quelli della razza superiore, che incontriamo all’interno delle mura dell’Istituto penale dei minorenni del Triveneto in compagnia degli altri, i figli dei nemici da combattere, quelli che bisogna scacciare perché delinquenti, perché pezzenti. Sono insieme, stavolta, a condividere un’esperienza che potrebbe segnare la svolta, perché potrebbe favorire il loro ingresso nella Società Civile come Cittadini liberi, in grado finalmente di concorrere al progresso materiale e spirituale della comunità, ognuno secondo la propria possibilità e la propria scelta.


don Pietro Zardo (a destra), cappellano del carcere maggiore di Treviso

Se solo lo Stato ci credesse!
Carlo Silvano è riuscito a trasmettere la passione con cui si opera all’interno dell’Ipm e a centrare i Principi fondamentali che rendono uno Stato credibile: certezza della pena, salvaguardia della vittima e recupero del reo vanno sostenuti in modo che l’uno non escluda l’altro!
E’ necessario credere nel recupero di questi ragazzi, perché la salvezza di ognuno di loro segna la vittoria dello Stato. Per raggiungere quest’obiettivo serve un lavoro sinergico delle Forze istituzionali, affinché gli obiettivi raggiunti dagli uni non vengano inficiati dall’inerzia degli altri.
Il libro "Liberi reclusi" di Carlo Silvano racconta molto bene di quanto sia difficile per i giovani detenuti dell’Ipm, abituati ad una vita sregolata, dover obbedire a direttive rigide di scolarizzazione e di solidale condivisione di intenti. Non è facile raccontare la verità sulle proprie esperienze passate e dover ammettere i propri errori; non è facile lavorare su se stessi per riemergere dal nulla. Loro che pagano le conseguenze della non-responsabilità di chi non li ha amati, hanno l’onere di ammettere la propria responsabilità personale per ciò che hanno commesso, perché solo così avranno una concreta possibilità di cambiare pagina. Anche la menzogna fa parte del loro agire: beccati a commettere reati dalle Forze dell’Ordine, negano spudoratamente ogni addebito, assumono atteggiamenti di chiusura e di disprezzo, agiscono in modo scorretto aggravando la loro posizione, perché hanno imparato a vivere in questo modo; le loro vite son state segnate da trascorsi di violenza che col passare del tempo racconteranno, liberando finalmente la mente dai tormenti che han segnato le loro scelte sbagliate. Il percorso riabilitativo richiede sacrificio, tempo e strumenti, ma non può precludere l’espiazione della pena che uno Stato di diritto dovrebbe imporre, perché non c’è somma di danaro sufficiente a ripagare la Vittima e a ristabilire il valore dei beni tutelati dal nostro ordinamento, lesi dal comportamento illecito del reo.
Gli operatori delle Forze dell’ordine, quelli dell’Ipm, i volontari, i sacerdoti sono chiamati, ognuno per le proprie competenze, ad occuparsi di un compito di alto valore sociale, di cui si parla pochissimo.
Si sta parlando di professionisti che adottano la Legalità delle loro azioni e dei loro comportamenti come arma vincente per stravolgere completamente in positivo la vita di questi ragazzi-detenuti; impegno, questo, che dovrebbe ottenere un riconoscimento da parte della politica nazionale, con provvedimenti a loro favore.
La sicurezza e la prevenzione sono temi così importanti che meriterebbero di essere trattati con programmi a lungo termine, per produrre effetti positivi; invece fino ad oggi abbiamo visto solo proclami di campagna elettorale. Le conseguenze di questa scelta irresponsabile hanno prodotto disaffezione dalla legge, insicurezza del cittadino, debolezza del Diritto. Si ha la percezione che strumentalizzando l’informazione, volgarizzando i dibattiti, bastonando la cultura, si voglia orientare le scelte del cittadino verso un nostalgico periodo, non tanto lontano, che vedeva regnare la sicurezza di pochi a discapito del silenzio dei molti!
Buona fortuna, Ragazzi!
Grazie Carlo Silvano!
Rosa Passarelli
(Consigliere Provinciale del Sindacato Autonomo della Polizia di Stato)


Carlo Silvano, “Liberi reclusi. Storie di minori detenuti”, prefazione di Simonetta Rubinato, Edizione del noce, terza edizione 2012, pp. 104, euro 10, isbn 88 87555 83 4.

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