Da Il Gazzettino, edizione di Treviso, 21 gennaio 2010, pag. XXXVIII. L'articolo è di Sara De Vido.
L’INTERVISTA. Don Zardo racconta le sofferenze dei carcerati di Santa Bona
CONDANNATI A VIVERE ANCORA
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Giovedì 21 Gennaio 2010,
Da quattordici anni vive la realtà del carcere: con gli occhi e la sensibilità di un prete, vicino alle sofferenze dei carcerati e consapevole dei problemi di un luogo, “che è disumano, dove vige la regola della sopravvivenza”, e che, in certi giorni d’estate, si trasforma in “un luogo infernale a causa del sovraffollamento”.
Don Pietro Zardo è entrato in un carcere nel 1996. E’ cappellano della casa circondariale di Treviso. Domani, alle 20.30, nella sala della parrocchia di San Liberale, presenterà il suo libro, “Condannati a vivere”, in un incontro, aperto a tutti, sul tema “Il carcere possibile. Riflessioni sulla detenzione dei giovani, dei clandestini e degli ergastolani”. Interverranno anche Giovanni Borsato, operatore pastorale e consigliere comunale di Villorba, e Mauro Michielon, assessore alle politiche sociali del Comune di Treviso. Nel libro intervista, curata da Carlo Silvano, Don Pietro racconta la sua esperienza, il rapporto con i detenuti, le condizioni di vita. «Il carcere mi ha portato a scoprire esperienze di vita di uno spessore e una problematicità difficili da capire per chi, oltre il muro di cinta, svolge la propria vita tra famiglia, lavoro e tempo libero», spiega nel libro don Pietro. I numeri di Santa Bona sono preoccupanti: «a maggio 2009 siamo arrivati a una situazione alloggiativa inimmaginabile». Nei primi mesi del 2009 c’erano 300 detenuti, di cui un 70 per cento stranieri: «ma il carcere può ospitarne solo centoventotto. Soprattutto nella stagione calda gli ambienti dei reclusi diventano insopportabili». Come per molti enti mancano i fondi: «Mi capita spesso di dover acquistare a mie spese carta igienica e disinfettanti», continua don Pietro nell’intervista. Il carcere dovrebbe essere un percorso riabilitativo, invece «è un luogo di pena, se intendiamo la pena come sofferenza. In mancanza di interventi che offrano delle prospettive di vita, chi entra in carcere può uscire peggiore di come era entrato anni prima, soprattutto se non ha più una famiglia, oppure se ha percepito la condanna come un torto», dice. La prefazione è del dirigente della casa circondariale di Treviso, Francesco Massimo, che ringrazia don Pietro e sottolinea la difficile situazione dei detenuti e di chi ci lavora. L’incontro è organizzato dai parroci don Antonio Mensi e don Paolo Zago.
© riproduzione riservata
Sara De Vido
L’INTERVISTA. Don Zardo racconta le sofferenze dei carcerati di Santa Bona
CONDANNATI A VIVERE ANCORA
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Giovedì 21 Gennaio 2010,
Da quattordici anni vive la realtà del carcere: con gli occhi e la sensibilità di un prete, vicino alle sofferenze dei carcerati e consapevole dei problemi di un luogo, “che è disumano, dove vige la regola della sopravvivenza”, e che, in certi giorni d’estate, si trasforma in “un luogo infernale a causa del sovraffollamento”.
Don Pietro Zardo è entrato in un carcere nel 1996. E’ cappellano della casa circondariale di Treviso. Domani, alle 20.30, nella sala della parrocchia di San Liberale, presenterà il suo libro, “Condannati a vivere”, in un incontro, aperto a tutti, sul tema “Il carcere possibile. Riflessioni sulla detenzione dei giovani, dei clandestini e degli ergastolani”. Interverranno anche Giovanni Borsato, operatore pastorale e consigliere comunale di Villorba, e Mauro Michielon, assessore alle politiche sociali del Comune di Treviso. Nel libro intervista, curata da Carlo Silvano, Don Pietro racconta la sua esperienza, il rapporto con i detenuti, le condizioni di vita. «Il carcere mi ha portato a scoprire esperienze di vita di uno spessore e una problematicità difficili da capire per chi, oltre il muro di cinta, svolge la propria vita tra famiglia, lavoro e tempo libero», spiega nel libro don Pietro. I numeri di Santa Bona sono preoccupanti: «a maggio 2009 siamo arrivati a una situazione alloggiativa inimmaginabile». Nei primi mesi del 2009 c’erano 300 detenuti, di cui un 70 per cento stranieri: «ma il carcere può ospitarne solo centoventotto. Soprattutto nella stagione calda gli ambienti dei reclusi diventano insopportabili». Come per molti enti mancano i fondi: «Mi capita spesso di dover acquistare a mie spese carta igienica e disinfettanti», continua don Pietro nell’intervista. Il carcere dovrebbe essere un percorso riabilitativo, invece «è un luogo di pena, se intendiamo la pena come sofferenza. In mancanza di interventi che offrano delle prospettive di vita, chi entra in carcere può uscire peggiore di come era entrato anni prima, soprattutto se non ha più una famiglia, oppure se ha percepito la condanna come un torto», dice. La prefazione è del dirigente della casa circondariale di Treviso, Francesco Massimo, che ringrazia don Pietro e sottolinea la difficile situazione dei detenuti e di chi ci lavora. L’incontro è organizzato dai parroci don Antonio Mensi e don Paolo Zago.
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