TREVISO - Sabato 2 giugno si è svolto - anche per ricordare la festa della Repubblica italiana e i valori custoditi nella nostra Carta costituzionale - un incontro dedicato alle violenze sui carcerati. Tra i relatori don Marco Di Benedetto, giovane sacerdote trevigiano (studente a Roma e impegnato come volontario nel carcere di Rebibbia). L'incontro è stato promosso e organizzato dal Circolo di lettura "Matilde Serao" di Villorba (affiliato all'Associazione culturale "Nizza italiana") presso i locali della parrocchia di "Cristo Re" a Selvana di Treviso, grazie all'accoglienza e alla disponibilità del parroco don Antonio Guidolin.
Dopo una breve introduzione della presidente del Circolo Adriana Michielin, hanno preso la parola il Giovanni Borsato, Carlo Silvano e don Marco Di Benedetto. Durante l'incontro si è parlato pure del libro a firma di Samanta Di Persio intitolato "La pena di morte italiana. Violenze e crimini senza colpevoli nel buio delle carceri".
Ecco, qui di seguito, un passo della relazione di don Marco Di Benedetto.
L'effetto
di un Libro come “La pena di morte italiana” di Samanta Di
Persio in chi, almeno un po', il carcere lo vive dal di dentro, è
quello di attivare una ricerca nella memoria per vedere se si sarebbe
in grado di scrivere un libro simile.
Mi
rendo conto che non potrei scrivere un libro su eventi straordinari
cosi dolorosamente alla ribalta della cronaca, ma sulla quotidianità
di tanti piccoli gesti, parole, lacrime, potrei effettivamente
scrivere un bel libro.
Ogni
singola storia, ogni singolo incontro è un libro a sé.. Eppure mi
sto rendendo conto di quanto l'esperienza del carcere sia una scuola
circa la complessità della vita, dove le luci e le ombre sono
misteriosamente mescolate, confuse, dove è necessario imparare
l'arte della complessità, la cui opera è quella di rendere capaci
di allargare gli orizzonti.
Leggo
gli articoli della costituzione, leggo i primi articoli del codice
penitenziario, leggo la dichiarazione dei diritti dell'uomo... e ne
rimango intellettualmente affascinato, perché sono insieme la meta e
la bussola di un lungo cammino pianificato. Ma poi c'è la strada, il
sentiero, ci sono le salite e gli improvvisi squarci di panorama a
comporre l'esperienza che viviamo in vista della meta. Quanti episodi
in chiaroscuro costellano la mia pur breve esperienza settimanale di
qualche ora in carcere.
Situazioni
in cui l'angoscia mi si appiccica sulla pelle e me la porto a casa e
vi rimane per ore... Altre situazioni di commosso stupore nel vedere
gesti, nel sentire parole, nell'accogliere silenzi che sanno di
novità vera.
L'insieme
di queste esperienze mi ha insegnato e mi insegna ancora ad allargare
sempre l'orizzonte rispetto a ciò che vedo. Vedo il detenuto e il
suo problema immediato, ma devo imparare a vedere anche la sua
storia, i suoi famigliari e i suoi affetti, la vittima del suo reato,
le figure professionali con cui entra in relazione nel suo percorso
processuale e di detenzione... Mi pare questo il modo migliore per
non lasciare alla rabbia e allo sconforto di certi momenti troppo
spazio sul "palcoscenico" del mio modesto servizio e del
mio tentativo di comunicare all'esterno l'esperienza vissuta.
Buongiorno, per caso scopro di questa iniziativa. Grazie davvero per aver letto il mio libro e la mia stima a Don Marco Di Benedetto per il suo impegno
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