Treviso – Tante persone, soprattutto giovani, hanno assistito venerdì 8 ottobre, nella sala del cinema Aurora, alla proiezione di un documentario dedicato alla dura e inumana condizione delle carceri in Argentina. Interessante pure il lungo intervento del relatore, il giornalista Luca Cardinalini, che però ha penalizzato lo sviluppo del dibattito col pubblico.
A proporre il documentario un gruppo di ragazzi che nel 2009 hanno istituito un nuovo e interessante soggetto culturale nella città di Treviso. Un gruppo che, insieme a don Pietro Zardo, ho conosciuto all'inizio del mese di ottobre nel corso di una riunione svoltasi nei locali della parrocchia dell'Immacolata a Treviso. Dopo la visione del documentario ho posto alcune domande ad uno dei ragazzi – Enrico Silvano – che ha presentato la serata.
[il pubblico presente nella sala del cinema Aurora a Treviso]
Enrico, mi puoi brevemente parlare della tua associazione?
La nostra associazione si chiama “Cineforum labirinto” ed è nata poco più di un anno fa. Ci siamo occupati fin dalla prima rassegna di tematiche sociali, proiettando documentari sul tema dell'immigrazione e dell'omosessualità. Crediamo che il documentario sia lo strumento migliore per parlare di certi argomenti, colpisce molto e aiuta a mettere a fuoco in poco tempo i nodi principali della questione. Abbiamo sempre cercato di coinvolgere una platea il più possibile giovane, e per organizzare le nostre rassegne ci siamo avvalsi spesso dell'aiuto di alcuni ragazzi delle scuole.
Perché avete deciso di proiettare un documentario sulla realtà delle carceri argentine?
Il documentario argentino c'è capitato per le mani alcuni mesi fa. Ci ha colpito molto. Conoscevamo già “L'ora d'amore”, il documentario che proietteremo venerdì 15 ottobre. Abbiamo pensato così di fare una piccola rassegna con queste due pellicole; ci siamo interessati all'argomento e ci siamo subito accorti di non sapere tante cose che, invece, è dovere di ogni cittadino conoscere. Abbiamo cercato i contatti di coloro che lavorano in carcere per farci raccontare le loro esperienze. Le storie che ci hanno riferito ci hanno fatto toccare con mano cosa significa vivere in carcere. E' stata una fase della preparazione della rassegna molto interessante e coinvolgente. Abbiamo creato un blog proprio nella speranza di far conoscere a tutti le testimonianze che abbiamo raccolto.
Una madre che "insegue" per tutta l'Argentina, facendo anche viaggi di mille chilometri, il figlio detenuto e spostato continuamente da un carcere all'altro. E' una delle storie raccontate nel documentario. Quali sono le tue considerazioni?
Il tema degli affetti è uno dei temi che intendiamo sviluppare di più in questa nostra rassegna. Ci siamo resi conto che la separazione dalla famiglia è uno degli aspetti più dolorosi sia per i detenuti, sia per i familiari, costretti a rincorrere il proprio caro spostato sempre più lontano da casa o a regolare la propria vita sugli orari di visita imposti dal carcere. Non ho gli elementi per dire: si potrebbe fare diversamente, queste sofferenze sono evitabili. Mi limito a constatare quanto sentito nei racconti che mi sono stati fatti: ci sono famiglie fatte a pezzi dal carcere, anche i rapporti tra padri e figli irrimediabilmente stravolti. Gli stessi trasferimenti in sé sono molto tramautici: cambiare spesso il luogo di detenzione significa ricominciare ogni volta da capo, perdere ogni punto di riferimento e cercare ogni volta di essere accettati da persone nuove: c'è chi a un certo punto perde la voglia di fare questo e si lascia andare a se stesso; ci è stato detto che a ogni trasferimento i detenuti non possono neppure portare con sé i contatti dei vecchi compagni di cella.
Nel documentario viene anche presentata la storia di un uomo che, da ragazzino, è stato messo in galera perché aveva tentato di rubare delle mucche. E proprio in galera - per evitare soprusi da parte di altri detenuti - è diventato un assassino...
Quella che hai raccontato è la storia di Ramon; lui stesso in una parte successiva del documentario dice che il carcere diventa spesso una "scuola di delinquenza": all'interno del carcere un detenuto può trovare con estrema facilità i contatti di chi è disposto ad inserirlo in qualsiasi tipo di traffico, o a fornirgli ogni genere di armi o droghe. Questo problema è stato sollevato anche da don Pietro Zardo nel rapido colloquio che abbiamo avuto con lui: all'interno del carcere si tende sempre a tornare sugli stessi argomenti, i tossicodipendenti ad esempio, non fanno che raccontare continuamente come un disco rotto dei modi con i quali si procuravano la droga.
Cosa pensi delle condizioni igienico-sanitarie delle carceri argentine?
Beh fanno rabbrividire non c'è alcun dubbio. Anche qui in Italia però la situazione sembra non essere molto migliore: trovare una latrina per sei-sette persone collocata nella stessa stanza della cella ci è stato detto non essere una rarità. Vivere in un ambiente così, di certo non aiuta.
Alla proiezione del documentario avete registrato un'ottima affluenza di pubblico, soprattutto da parte dei giovani. Come ti spieghi questa partecipazione?
Come ho detto prima ci siamo mobilitati molto nelle scuole; molti studenti ci hanno anche aiutato nella preparazione delle serate, oltre che nella promozione dell'evento: per il documentario che abbiamo proposto nel marzo scorso alcuni ragazzi degli istituti “Mazzotti” e “Canova” hanno tradotto e scritto tutti i sottotitoli che mancavano, trattandosi di un documentario argentino mai proiettato in Italia. Questa volta il gruppo Start, che già aveva curato alcuni eventi al liceo “Canova”, si è occupato di allestire il teatro; hanno fatto un ottimo lavoro a mio parere non possiamo che ringraziarli moltissimo.
(a cura di Carlo Silvano)
Altre info su http://cineforumlabirinto.wordpress.com/
A proporre il documentario un gruppo di ragazzi che nel 2009 hanno istituito un nuovo e interessante soggetto culturale nella città di Treviso. Un gruppo che, insieme a don Pietro Zardo, ho conosciuto all'inizio del mese di ottobre nel corso di una riunione svoltasi nei locali della parrocchia dell'Immacolata a Treviso. Dopo la visione del documentario ho posto alcune domande ad uno dei ragazzi – Enrico Silvano – che ha presentato la serata.
[il pubblico presente nella sala del cinema Aurora a Treviso]
Enrico, mi puoi brevemente parlare della tua associazione?
La nostra associazione si chiama “Cineforum labirinto” ed è nata poco più di un anno fa. Ci siamo occupati fin dalla prima rassegna di tematiche sociali, proiettando documentari sul tema dell'immigrazione e dell'omosessualità. Crediamo che il documentario sia lo strumento migliore per parlare di certi argomenti, colpisce molto e aiuta a mettere a fuoco in poco tempo i nodi principali della questione. Abbiamo sempre cercato di coinvolgere una platea il più possibile giovane, e per organizzare le nostre rassegne ci siamo avvalsi spesso dell'aiuto di alcuni ragazzi delle scuole.
Perché avete deciso di proiettare un documentario sulla realtà delle carceri argentine?
Il documentario argentino c'è capitato per le mani alcuni mesi fa. Ci ha colpito molto. Conoscevamo già “L'ora d'amore”, il documentario che proietteremo venerdì 15 ottobre. Abbiamo pensato così di fare una piccola rassegna con queste due pellicole; ci siamo interessati all'argomento e ci siamo subito accorti di non sapere tante cose che, invece, è dovere di ogni cittadino conoscere. Abbiamo cercato i contatti di coloro che lavorano in carcere per farci raccontare le loro esperienze. Le storie che ci hanno riferito ci hanno fatto toccare con mano cosa significa vivere in carcere. E' stata una fase della preparazione della rassegna molto interessante e coinvolgente. Abbiamo creato un blog proprio nella speranza di far conoscere a tutti le testimonianze che abbiamo raccolto.
Una madre che "insegue" per tutta l'Argentina, facendo anche viaggi di mille chilometri, il figlio detenuto e spostato continuamente da un carcere all'altro. E' una delle storie raccontate nel documentario. Quali sono le tue considerazioni?
Il tema degli affetti è uno dei temi che intendiamo sviluppare di più in questa nostra rassegna. Ci siamo resi conto che la separazione dalla famiglia è uno degli aspetti più dolorosi sia per i detenuti, sia per i familiari, costretti a rincorrere il proprio caro spostato sempre più lontano da casa o a regolare la propria vita sugli orari di visita imposti dal carcere. Non ho gli elementi per dire: si potrebbe fare diversamente, queste sofferenze sono evitabili. Mi limito a constatare quanto sentito nei racconti che mi sono stati fatti: ci sono famiglie fatte a pezzi dal carcere, anche i rapporti tra padri e figli irrimediabilmente stravolti. Gli stessi trasferimenti in sé sono molto tramautici: cambiare spesso il luogo di detenzione significa ricominciare ogni volta da capo, perdere ogni punto di riferimento e cercare ogni volta di essere accettati da persone nuove: c'è chi a un certo punto perde la voglia di fare questo e si lascia andare a se stesso; ci è stato detto che a ogni trasferimento i detenuti non possono neppure portare con sé i contatti dei vecchi compagni di cella.
Nel documentario viene anche presentata la storia di un uomo che, da ragazzino, è stato messo in galera perché aveva tentato di rubare delle mucche. E proprio in galera - per evitare soprusi da parte di altri detenuti - è diventato un assassino...
Quella che hai raccontato è la storia di Ramon; lui stesso in una parte successiva del documentario dice che il carcere diventa spesso una "scuola di delinquenza": all'interno del carcere un detenuto può trovare con estrema facilità i contatti di chi è disposto ad inserirlo in qualsiasi tipo di traffico, o a fornirgli ogni genere di armi o droghe. Questo problema è stato sollevato anche da don Pietro Zardo nel rapido colloquio che abbiamo avuto con lui: all'interno del carcere si tende sempre a tornare sugli stessi argomenti, i tossicodipendenti ad esempio, non fanno che raccontare continuamente come un disco rotto dei modi con i quali si procuravano la droga.
Cosa pensi delle condizioni igienico-sanitarie delle carceri argentine?
Beh fanno rabbrividire non c'è alcun dubbio. Anche qui in Italia però la situazione sembra non essere molto migliore: trovare una latrina per sei-sette persone collocata nella stessa stanza della cella ci è stato detto non essere una rarità. Vivere in un ambiente così, di certo non aiuta.
Alla proiezione del documentario avete registrato un'ottima affluenza di pubblico, soprattutto da parte dei giovani. Come ti spieghi questa partecipazione?
Come ho detto prima ci siamo mobilitati molto nelle scuole; molti studenti ci hanno anche aiutato nella preparazione delle serate, oltre che nella promozione dell'evento: per il documentario che abbiamo proposto nel marzo scorso alcuni ragazzi degli istituti “Mazzotti” e “Canova” hanno tradotto e scritto tutti i sottotitoli che mancavano, trattandosi di un documentario argentino mai proiettato in Italia. Questa volta il gruppo Start, che già aveva curato alcuni eventi al liceo “Canova”, si è occupato di allestire il teatro; hanno fatto un ottimo lavoro a mio parere non possiamo che ringraziarli moltissimo.
(a cura di Carlo Silvano)
Altre info su http://cineforumlabirinto.wordpress.com/
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