Questa mattina sono stato all'Istituto penale dei minorenni di Treviso dove ho incontrato e intervistato quattro ragazzi: tre del Marocco ed uno della Romania. Sono ragazzi che hanno molto in comune, come una famiglia "difficile" alle spalle e la ricerca del denaro facile. Sono adolescenti che arrivano in Italia sperando di trovare subito una sistemazione abitativa e lavorativa e, invece, si ritrovano facilmente nella rete della malavita.
Uno di loro mi raccontava del denaro che con molta facilita si può ottenere per chi entra nel mondo della droga. "Una volta - mi ha raccontato questo ragazzo che sta all'Ipm dal 12 aprile con l'accusa di aver rubato una bottiglia di alcool -, sono stato avvicinato da un conoscente di mio padre che mi ha portato in giro su un'auto di grossa cilindrata. Ad un certo punto mi ha chiesto se mi interessava intascare cinquemila euro: bastava che fossi salito in treno a Verona con un chilo di cocaina e scendere a Milano... e quei soldi sarebbero stati miei. Io però ho rifiutato, così come ho detto no ad altre proposte del genere. Mio padre è in Marocco e sta sempre in carcere perché quando esce spaccia, ed io non voglio seguire la sua strada. Sono in Italia con mia madre che lavora anche dieci ore al giorno, in un bar, per pagare l'affitto, mandarmi a scuola e darmi da mangiare. Mia madre - continua il mio giovane interlocutore - ha rotto con mio padre perché era stanca di andarlo a trovare in carcere e di vederlo vivere nel mondo della droga, e quando ha saputo che anch'io ero finito dietro le sbarre, si è arrabbiata moltissimo. Per un mese e mezzo non mi è venuta a trovare tanto che ce l'aveva con me; poi, però, l'ho incontrata in parlatorio e ho capito che avevo sbagliato. Il mio sogno? Andare a scuola e diplomarmi all'Istituto alberghiero per lavorare in un ristorante.
All'Ipm ho incontrato anche un ragazzo rumeno che mi parla della sua infanzia: "A sedici anni sono scappato di casa con la mia ragazza e così mi sono sposato. Non ho figli e mi sono lasciato poco dopo, e definitivamente, da mia moglie". E in Italia, gli chiedo, come sei arrivato? "Mio zio, fratello di mia madre, mi aveva chiesto di venire qui con lui a lavorare come muratore. Ho accettato la proposta e l'ho seguito. Ho lavorato solo due giorni e in tutto ho incassato cento euro, contro i duecento che mensilmente guadagna mio padre. Poi, però, mio zio mi ha detto che non c'era più lavoro e che se volevo stare a casa con lui dovevo partecipare al pagamento dell'affitto e delle altre spese. Sono andato via e mi sono stabilito in una casa abbandonata dove c'erano altre persone del mio Paese. Pensavo di aver trovato degli amici, ma non era così perché dopo una rapina siamo finiti tutti in galera: loro mi hanno addossato tutte le colpe e così sono usciti, mentre io sono rimasto a pagare per tutti. Adesso sono già venti mesi che sono all'Ipm e forse uscirò a dicembre. Se riesco a trovare un lavoro mi stabilisco in Italia, altrimenti torno in Romania".
Dopo questo ragazzo rumeno, ho conosciuto un altro marocchino: ha quindici anni e ha dei problemi psichici. E' finito dietro le sbarre perché lo hanno preso mentre con un taglierino commetteva una rapina. Non hai paura - gli chiedo - che qualcuno possa reagire e farti del male?. No. Lui non ha paura; sono gli altri che hanno paura. Lui è sicuro di sé. Dice che quando uscirà non commetterà più alcun reato, ma è difficile credere che possa essere sincero. Ha scelto di non avere amici italiani, ma di frequentare solo marocchini e tunisini. La fidanzata? Sì, quella invece dev'essere italiana perché a lui piacciono le ragazze con i capelli biondi e gli occhi azzurri.
L'ultimo che ho incontrato è stato un ragazzo nato in Libia da genitori marocchini. "I miei genitori sono separati e qui all'Ipm ho capito di aver sbagliato. Prima non andavo in moschea e mi piaceva bere alcool. Adesso ho deciso di cambiare strada: ho capito che i soldi rubati finiscono subito perché non li apprezzi e pensi sempre di poterne avere degli altri, mentre il denaro che ti guadagni col sudore ti fa stare bene con te stesso e con gli altri. Quando uscirò voglio vivere da autentico musulmano, evitare ogni forma di violenza e trovarmi un lavoro".
Si sono fatte le ore 12.30 e i ragazzi vanno a consumare il pranzo. Mi fermo a parlare con un'educatrice che ogni giorno viene a Treviso da Pordenone, e che mi parla con passione del suo lavoro: le istituzioni sono fredde, ci sono pesi e misure diversi, strutture che non vengono utilizzate, ma c'è anche tanta umanità in molti operatori impiegati all'interno dell'Ipm e anche tanta voglia di riscatto in non pochi ragazzi dell'Istituto. Vado verso l'auto che ho lasciato nel parcheggio del carcere: sta piovendo a dirotto e in pochi secondi sono già bagnato fradicio, ma penso al color verde di cui mi ha parlato il giovane rumeno. E' il suo colore preferito perché è il colore della speranza.
Uno di loro mi raccontava del denaro che con molta facilita si può ottenere per chi entra nel mondo della droga. "Una volta - mi ha raccontato questo ragazzo che sta all'Ipm dal 12 aprile con l'accusa di aver rubato una bottiglia di alcool -, sono stato avvicinato da un conoscente di mio padre che mi ha portato in giro su un'auto di grossa cilindrata. Ad un certo punto mi ha chiesto se mi interessava intascare cinquemila euro: bastava che fossi salito in treno a Verona con un chilo di cocaina e scendere a Milano... e quei soldi sarebbero stati miei. Io però ho rifiutato, così come ho detto no ad altre proposte del genere. Mio padre è in Marocco e sta sempre in carcere perché quando esce spaccia, ed io non voglio seguire la sua strada. Sono in Italia con mia madre che lavora anche dieci ore al giorno, in un bar, per pagare l'affitto, mandarmi a scuola e darmi da mangiare. Mia madre - continua il mio giovane interlocutore - ha rotto con mio padre perché era stanca di andarlo a trovare in carcere e di vederlo vivere nel mondo della droga, e quando ha saputo che anch'io ero finito dietro le sbarre, si è arrabbiata moltissimo. Per un mese e mezzo non mi è venuta a trovare tanto che ce l'aveva con me; poi, però, l'ho incontrata in parlatorio e ho capito che avevo sbagliato. Il mio sogno? Andare a scuola e diplomarmi all'Istituto alberghiero per lavorare in un ristorante.
All'Ipm ho incontrato anche un ragazzo rumeno che mi parla della sua infanzia: "A sedici anni sono scappato di casa con la mia ragazza e così mi sono sposato. Non ho figli e mi sono lasciato poco dopo, e definitivamente, da mia moglie". E in Italia, gli chiedo, come sei arrivato? "Mio zio, fratello di mia madre, mi aveva chiesto di venire qui con lui a lavorare come muratore. Ho accettato la proposta e l'ho seguito. Ho lavorato solo due giorni e in tutto ho incassato cento euro, contro i duecento che mensilmente guadagna mio padre. Poi, però, mio zio mi ha detto che non c'era più lavoro e che se volevo stare a casa con lui dovevo partecipare al pagamento dell'affitto e delle altre spese. Sono andato via e mi sono stabilito in una casa abbandonata dove c'erano altre persone del mio Paese. Pensavo di aver trovato degli amici, ma non era così perché dopo una rapina siamo finiti tutti in galera: loro mi hanno addossato tutte le colpe e così sono usciti, mentre io sono rimasto a pagare per tutti. Adesso sono già venti mesi che sono all'Ipm e forse uscirò a dicembre. Se riesco a trovare un lavoro mi stabilisco in Italia, altrimenti torno in Romania".
Dopo questo ragazzo rumeno, ho conosciuto un altro marocchino: ha quindici anni e ha dei problemi psichici. E' finito dietro le sbarre perché lo hanno preso mentre con un taglierino commetteva una rapina. Non hai paura - gli chiedo - che qualcuno possa reagire e farti del male?. No. Lui non ha paura; sono gli altri che hanno paura. Lui è sicuro di sé. Dice che quando uscirà non commetterà più alcun reato, ma è difficile credere che possa essere sincero. Ha scelto di non avere amici italiani, ma di frequentare solo marocchini e tunisini. La fidanzata? Sì, quella invece dev'essere italiana perché a lui piacciono le ragazze con i capelli biondi e gli occhi azzurri.
L'ultimo che ho incontrato è stato un ragazzo nato in Libia da genitori marocchini. "I miei genitori sono separati e qui all'Ipm ho capito di aver sbagliato. Prima non andavo in moschea e mi piaceva bere alcool. Adesso ho deciso di cambiare strada: ho capito che i soldi rubati finiscono subito perché non li apprezzi e pensi sempre di poterne avere degli altri, mentre il denaro che ti guadagni col sudore ti fa stare bene con te stesso e con gli altri. Quando uscirò voglio vivere da autentico musulmano, evitare ogni forma di violenza e trovarmi un lavoro".
Si sono fatte le ore 12.30 e i ragazzi vanno a consumare il pranzo. Mi fermo a parlare con un'educatrice che ogni giorno viene a Treviso da Pordenone, e che mi parla con passione del suo lavoro: le istituzioni sono fredde, ci sono pesi e misure diversi, strutture che non vengono utilizzate, ma c'è anche tanta umanità in molti operatori impiegati all'interno dell'Ipm e anche tanta voglia di riscatto in non pochi ragazzi dell'Istituto. Vado verso l'auto che ho lasciato nel parcheggio del carcere: sta piovendo a dirotto e in pochi secondi sono già bagnato fradicio, ma penso al color verde di cui mi ha parlato il giovane rumeno. E' il suo colore preferito perché è il colore della speranza.
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