Questa mattina ho ritirato le prime copie della terza edizione del volume "Liberi reclusi. Storie di minori detenuti". Qui di seguito propongo ai lettori del mio blog la prefazione al libro scritta dall'on. Simonetta Rubinato.
Prefazione
Un minore detenuto non
è l’espressione del "male" della società, piuttosto ne
rappresenta la sconfitta. E’ partendo da questa convinzione che
Carlo Silvano ci guida all’incontro con una realtà, l’Istituto
penale dei minorenni (Ipm) di Treviso, ancora così poco conosciuta.
Non soltanto dalla popolazione residente nel nostro territorio, ma -
quel che è più grave - dalle stesse Istituzioni che dovrebbero
avere a cuore questa realtà e prendersene cura.
In questo viaggio
all’interno delle mura dell’unico Ipm del Triveneto, che ho
visitato personalmente il 22 dicembre (il giorno del mio compleanno)
del 2009, ci accompagna il racconto dei giovani detenuti e delle
persone che stanno al loro fianco: operatori, volontari e
sacerdoti. E’ attraverso le loro parole che siamo invitati a
conoscere i drammi e le speranze che si celano dietro le sbarre, non
attraverso indagini o statistiche. Perché quello che sta a cuore
all’Autore è far emergere l’umanità ferita che è lì reclusa e
insieme la speranza di una possibile redenzione per chi ha sbagliato
e lo ha fatto in minore età.
Nella visione (non
certo "buonista") di Carlo Silvano, senza togliere nulla
alla responsabilità personale, la condizione dei giovani detenuti è
quella di trovarsi spesso a scontare la non-responsabilità di altri,
dei genitori, di chi li ha rifiutati o lasciati soli, o le illusioni
materialistiche di una società che li ha fatti prima volare in alto
e poi cadere a terra senza rete.
Realtà come
pregiudizio, fallimento, speranza, voglia di riscatto, si intrecciano
nelle storie di ciascuno di questi ragazzi e fanno di questo libro un
racconto di straordinaria umanità:
il pregiudizio di chi
guarda al "carcere" come luogo esclusivo della pena e pensa
ai detenuti come reietti della società: i carcerati, giovani o
adulti che siano, sono un "peso", un costo per la società
- soprattutto se stranieri -, perciò qualsiasi attività di
educazione è inutile e forse per qualcuno bisognerebbe addirittura
"gettare via le chiavi";
il fallimento delle
istituzioni e della politica, che non hanno saputo creare le
condizioni perché questi luoghi siano soprattutto centri di recupero
della persona e ponti verso il reinserimento nella società dei
giovani detenuti. E’ un fatto che l’emergenza carceri nel nostro
Paese è tale da rendere quasi impossibile qualsiasi percorso di
riabilitazione. Mancano volontà politica, adeguati spazi e
risorse, e soltanto grazie al lavoro indefesso del personale oggi
impiegato nelle nostre "carceri" si è riusciti ad evitare
sino ad oggi conseguenze peggiori;
la speranza che anima
il cuore di ragazzi che hanno capito la gravità dei loro atti (a
volte addirittura l’omicidio) soltanto quando hanno sentito le
manette ai polsi e confidano tuttavia di avere nella vita una
possibilità per riscattarsi, una volta pagata la pena. Mi ha
colpito, quando li ho incontrati, vedere come assomigliano ai loro
coetanei negli atteggiamenti tipici dell’adolescenza, quando
dimenticano per lunghi attimi di essere dei "rinchiusi".
Non sono mostri, anzi hanno dentro una debolezza sconfinata che
tengono sotto controllo solo perché la loro giovinezza gli permette
di pensare di avere a disposizione abbastanza tempo per tornare, un
giorno non lontano, a vivere quella vita che continua fuori delle
mura del car-cere e che per loro lì dentro si è fermata.
Il libro ha poi anche
altri protagonisti: le tante persone, come gli operatori, i
volontari, i sacerdoti, che con grande disponibilità si mettono in
ascolto dei drammi e delle ansie di questi ragazzi. Animati dal
desiderio di dare loro un’opportunità di riscatto, con spirito di
accoglienza e fiducia nell’umanità di questi piccoli uomini,
cresciuti troppo in fretta e male, tengono accesa la fiammella della
speranza nei loro cuori, pur se rinchiusi nelle mura di cinta.
Istituzioni e società civile, tutti dovremmo essere loro
maggiormente grati per questa missione umanitaria.
Mai in
questo libro l’Autore mette in discussione la necessità della
certezza della pena. Ma accanto ad essa auspica ci sia la certezza
del percorso rieducativo e riabilitativo, per fondare la possibilità
di un’alternativa fatta di affetti, relazioni, percorsi formativi e
profes-sionali, affinché questi ragazzi un giorno possano
riacquisire la libertà, ma soprattutto siano liberati dalle
condizioni che li hanno portati a delinquere. E per questo non
servono grandi cose o investimenti proibitivi, come dimostra il
recente protocollo d’intesa siglato dal mini-stro della Giustizia
Paola Severino e dal ministro dell'Istruzione, dell'Università e
della Ricerca Francesco Profumo, in collaborazione con
Confindustria, Regioni ed enti locali, partner istituzionali,
università, fondazioni e associazioni, per una durata di tre anni,
al fine di garantire a detenuti minorenni e adulti opportunità di
reinserimento sociale e professionale. Con un finanziamento per gli
interventi iniziali di due milioni di euro, certo esigui per
diciannove istituti penali minorili, saranno forniti materiali
didattici anche digitali e laboratori di supporto alle attività
scolastiche e formative da allestire all'interno degli istituti. Per
quanto riguarda i detenuti stranieri e nomadi, con maggiori carenze
educative, saranno attivati laboratori di italiano. A conclusione di
ogni anno scolastico e formativo, potranno essere attivati stage
presso aziende, enti pubblici e privati e associazioni per almeno il
10% dei partecipanti alle attività educative, purché abbiano
seguito con continuità e profitto l'intero percorso formativo. Il
Protocollo prevede altresì che, da parte del Miur, vengano
arricchite le mediateche esistenti presso gli istituti penitenziari,
anche attraverso la stipula di opportune convenzioni con le case
editrici che aderiranno al programma. Compito del ministero della
Giustizia sarà invece quello di adeguare, compatibilmente con le
risorse finanziarie disponibili, le strutture e gli spazi dedicati
alle attività di istruzione e formazione negli istituti, anche
nell'ambito dei progetti di edilizia penitenziaria. E’ questa la
strada da percorrere con decisione per rendere concreto il principio
della rieducazione. Se tuttavia è vero - come ha affermato il
ministro Profumo rivolgendosi ai ragazzi detenuti -
che ''il
momento più difficile sarà quanto uscirete, lì sarà la vera
prova per vedere se gli strumenti che vi sono stati dati sono
sufficienti per superare la tentazione di tornare a ciò che si era
prima, a scegliere la strada più facile'', occorre allora che le
Istituzioni - per superare questa prova esse stesse - si impegnino
con maggiore convinzione per reperire le ulteriori risorse
necessarie ad implementare il Protocollo in modo adeguato in tutti
gli istituti.
Mi
auguro per questo che il prezioso lavoro dell’Autore, che
ringrazio per la grande dedizione verso la realtà carceraria del
nostro territorio, sia utile per sensibilizzare le istituzioni locali
e la società civile affinché spingano le autorità di governo
nazionale e regionali a mettere in atto gli strumenti necessari per
realizzare quei percorsi rieducativi che, oltre a dare la speranza di
una nuova vita a chi oggi è detenuto nei nostri istituti di pena,
sanciscono anche il grado di civiltà di un popolo.
Simonetta
Rubinato
(Deputato
a Montecitorio e Sindaco di Roncade)
Dalla pagina personale di facebook di Simonetta Rubinato attingo un commento del signor Stefano Salvian. Lo propongo in questa sede perché sottolinea aspetti molto importanti della vita carceraria. Ecco il commento:
RispondiEliminaGentile Simonetta, ho letto con attenzione la tua prefazione al libro di Carlo Silvano, nobili sentimenti, condivisibili. Resta un fatto che l'amministrazione della giustizia in Italia, sia essa civile che penale, è un nervo scoperto. Si parte dalla lungaggine, a volte impossibile, per avere una sentenza, alla mancanza di certezza della pena. A mio avviso la politica non ha saputo trovare il giusto equilibrio tra il recupero del reo, dopo adeguato percorso sia detentivo che di altro genere, ed il danno causato alla vittima. Penso sia inoltre importante saper distinguere tra chi ha sbagliato e vuole redimersi e chi ha fatto una scelta di vita malavitosa. Trovo giusto che i Parlamentari possano visitare gli Istituti penali di qualunque grado, è anche una sollecitazione Evangelica, ma siate vicini anche a chi ha subito un grave torto. A volte, a fronte del carcerato c'è chi ha perduto gli affetti più cari di una vita. Vi sono poi reati di poco conto, giuridicamente parlando, ma che sono sentiti come violenza. Penso ai racconti ed ai sentimenti di chi a trovato la casa violata o tornando dal lavoro non ha più trovato l'auto. Penso, nel mio lavoro, a quel continuo furto di cavi di rame che poi creano disservizi a centinaia di persone. Visto che siamo in grave crisi economica è percorribile la strada di avere accordi con Paesi stranieri, perchè i loro cittadini condannati scontino la pena nei luoghi d'origine. Visti i numeri di carcerati stranieri, dati dell'Amministrazione Penitenziaria, risolveremmo, almeno in parte, il sovraffollamento carcerario. Se necessario, ammoderniamo i codici, basta con una giustizia all' azzeccagarbugli. Buon lavoro.