La libertà è, talvolta, una conquista difficile da capire. I ragazzi spesso non sanno cosa significhi essere liberi, presi dall'ansia di affermarsi non pensano ai diritti degli altri o agli effetti del loro agire, fanno e basta. Quando sbagliano dovremmo chiederci se sono loro sbagliati o sono la famiglia e la società che li circondano ad aver sbagliato nell'insegnare male (o per niente) il significato di Libertà. Gli Istituti penali dei minori servono a questo: a recuperare ed insegnare la responsabilità della libertà, come avviene ad esempio a Treviso dove Carlo Silvano ha raccolto testimonianze sia dai detenuti che dagli operatori che interagiscono con loro. “Liberi reclusi” racconta la personalità del sud-americano Pablo, la sfrontatezza del cocainomane Corrado, l'ambizione professionale di Giovanni che studia elettrotecnica, la spavalderia del piccolo Omar e la pazienza di Don Giorgio il loro cappellano o la costanza del dott. Modica e dei suoi collaboratori nel curare non solo le patologie indotte dal chiuso della detenzione (infiammazioni respiratorie e gastriche) ma anche le autolesioni, rarissimi i suicidi. Nella prefazione al testo Alfonso Paggiarino, direttore dell'Ipm di Treviso, scrive: “[...] questa pubblicazione rappresenta un ulteriore e proficuo passo avanti nel cammino della conoscenza e dell'integrazione tra la realtà penitenziaria e il contesto sociale che la circonda”. (Lucia Pulpo, http://www.cosmopolismedia.it/)
Ricevo una nuova riflessione sull'intervista rilasciatami da don Pietro Zardo. A scriverla è l'avv. Maria Bortoletto, consigliere provinciale dell'Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia. La Seconda guerra mondiale ha lasciato uno strascico di crimini compiuti ai danni delle popolazioni civili come mai era accaduto nel passato. E’ anche vero però che, a differenza del passato, per la prima volta nella storia, i responsabili di questi crimini sono stati processati e condannati dai Tribunali speciali creati appositamente dai vincitori a guerra finita (vedi Norimberga, Tokio, ecc.). Un tempo era la Storia e non gli uomini a giudicare i vinti e i vincitori. Fu dunque un atto di giustizia? Certamente sì, perché i crimini compiuti, per esempio dai tedeschi in Europa e dai giapponesi in Asia, meritavano una giusta punizione. Ma non si può tuttavia non sottolineare che la “giustizia” applicata da quei Tribunali speciali non fu del tutto imparziale. Erano infatti i vincito...
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