Lunedì 12 aprile, alle ore 18.00, presso la libreria Lovat in Villorba, il dr. Francesco Massimo, direttore del carcere di Treviso, parteciperà alla presentazione del libro "Condannati a vivere. La quotidianità dei detenuti del carcere di Treviso raccontata dal suo cappellano" a firma di don Pietro Zardo.
E' una partecipazione - quella del direttore Massimo - molto significativa, e costituirà un'occasione per discutere in maniera approfondita i problemi del carcere, dove i detenuti vivono tra mille difficoltà, dovute soprattutto alla ristrettezza e alla carenza strutturale delle celle e alla promiscuità di persone di razza, lingua e abitudini diverse tra loro.
"Il singolo recluso - sostiene don Pietro Zardo, cappellano del carcere - deve scontare in galera fino all'ultimo giorno la pena inflittagli dal giudice, ma ciò deve avvenire, per impedire che il detenuto diventi ancora più pericoloso una volta liberato, in ambienti rispettosi della dignità umana".
Il carcere è una realtà complessa e anche don Zardo non si scompone quando molti lo definiscono una scuola per delinquenti. "Il penitenziario - continua don Zardo - può essere definito come un limbo, un luogo dove si può restare a vegetare anche per anni. In mancanza di strumenti, programmi e interventi che offrano delle prospettive di vita, chi entra in carcere può uscire peggiore di come era entrato anni prima, soprattutto se non ha più una famiglia o dei validi punti di riferimento e di sostegno, oppure se ha percepito la condanna come un torto".
Don Zardo, che sarà presente all'incontro insieme all'on. Lino Armellin e all'operatore pastorale dr. Giovanni Borsato, pone anche l'accento sulle condizioni di molte famiglie che hanno un congiunto in carcere. "Le istituzioni - conclude il cappellano - hanno il dovere di prestare più attenzione alle famiglie dei detenuti; in diversi casi si tratta di famiglie che vivono, in una solitudine assoluta, un'esistenza tra sacrifici e privazioni".
E' una partecipazione - quella del direttore Massimo - molto significativa, e costituirà un'occasione per discutere in maniera approfondita i problemi del carcere, dove i detenuti vivono tra mille difficoltà, dovute soprattutto alla ristrettezza e alla carenza strutturale delle celle e alla promiscuità di persone di razza, lingua e abitudini diverse tra loro.
"Il singolo recluso - sostiene don Pietro Zardo, cappellano del carcere - deve scontare in galera fino all'ultimo giorno la pena inflittagli dal giudice, ma ciò deve avvenire, per impedire che il detenuto diventi ancora più pericoloso una volta liberato, in ambienti rispettosi della dignità umana".
Il carcere è una realtà complessa e anche don Zardo non si scompone quando molti lo definiscono una scuola per delinquenti. "Il penitenziario - continua don Zardo - può essere definito come un limbo, un luogo dove si può restare a vegetare anche per anni. In mancanza di strumenti, programmi e interventi che offrano delle prospettive di vita, chi entra in carcere può uscire peggiore di come era entrato anni prima, soprattutto se non ha più una famiglia o dei validi punti di riferimento e di sostegno, oppure se ha percepito la condanna come un torto".
Don Zardo, che sarà presente all'incontro insieme all'on. Lino Armellin e all'operatore pastorale dr. Giovanni Borsato, pone anche l'accento sulle condizioni di molte famiglie che hanno un congiunto in carcere. "Le istituzioni - conclude il cappellano - hanno il dovere di prestare più attenzione alle famiglie dei detenuti; in diversi casi si tratta di famiglie che vivono, in una solitudine assoluta, un'esistenza tra sacrifici e privazioni".
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