Ieri alla libreria Lovat di Villorba ho presentato il libro di Monica Sarsini intitolato "Alice nel paese delle domandine": vite e scrittura dal carcere femminile di Firenze, dove le “domandine” sono gli infiniti moduli che una detenuta deve inoltrare all’Amministrazione penitenziaria per qualsiasi cosa. Nel corso della mia presentazione ho detto che è inaccettabile e umiliante che una detenuta abbia in carcere solo i vestiti che indossa, e alla sera deve lavarsi le sole mutande che ha, farle asciugare durante la notte e indossarle la mattina. Oppure che per avere un rotolo di carta igienica bisogna prima compilare una domandina da trasmettere alla burocrazia del carcere. Ho messo anche l'accento sul caldo estivo soffocante. Da non sottovalutare, poi, i trasferimenti che avvengono all'improvviso, quando alle sei del mattino una guardia bussa alla cella e consegna un sacco nero da riempire con le poche cose che si hanno, per poi essere caricati su un blindato e portati altrove, magari da Firenze a Potenza, oppure da Napoli ad Alessandria; trasferimenti che spesso tagliano ogni legame tra il detenuto e la sua famiglia. Alla fine della mia presentazione, ha preso la parola una persona che, in sintesi, ha affermato che la bellezza del libro da me presentato sta solo nello stile letterario dell'autrice, e che il libro merita attenzione perché ha una bella copertina. Tutto il resto, tutto quello che io ho evidenziato, ha il tempo che trova.
Ricevo una nuova riflessione sull'intervista rilasciatami da don Pietro Zardo. A scriverla è l'avv. Maria Bortoletto, consigliere provinciale dell'Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia. La Seconda guerra mondiale ha lasciato uno strascico di crimini compiuti ai danni delle popolazioni civili come mai era accaduto nel passato. E’ anche vero però che, a differenza del passato, per la prima volta nella storia, i responsabili di questi crimini sono stati processati e condannati dai Tribunali speciali creati appositamente dai vincitori a guerra finita (vedi Norimberga, Tokio, ecc.). Un tempo era la Storia e non gli uomini a giudicare i vinti e i vincitori. Fu dunque un atto di giustizia? Certamente sì, perché i crimini compiuti, per esempio dai tedeschi in Europa e dai giapponesi in Asia, meritavano una giusta punizione. Ma non si può tuttavia non sottolineare che la “giustizia” applicata da quei Tribunali speciali non fu del tutto imparziale. Erano infatti i vincito...
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