Aggiungo una nuova storia tratta dal libro "Liberi reclusi. Storie di minori detenuti" (pp. 71-72).
Mi sono fidato dei miei amici: adesso sono dentro e pago anche per loro, che restano liberi perché non si sono fatti nessuno scrupolo a scaricare su di me tutte le responsabilità dei danni che abbiamo causato insieme.
Non sembra nutrire rancore per i suoi complici il giovane rumeno che ho davanti, e che ha sulle spalle già venti mesi trascorsi dietro le sbarre. Prima di venire in Italia – mi racconta Sergio (nome di fantasia) – ho sempre vissuto nel mio paese natio, in Romania. Sono stato battezzato secondo il rito ortodosso, però non sono praticante. A sedici anni sono scappato per qualche giorno con una ragazza del mio villaggio, e dopo una settimana, davanti a familiari e parenti, mi sono sposato. Un matrimonio che è durato poco: ora sono libero da ogni vincolo e non ho alcun rimpianto per una storia sentimentale che dentro non mi ha lasciato proprio nulla.
In Italia Sergio aveva come punto di riferimento uno zio. Il fratello di mia madre – continua Sergio – lavorava in Italia da diversi anni nel settore edile e mi propose di seguirlo. Accettai subito e venni qui ad abitare presso mio zio. Lavorai due giorni come muratore e guadagnai cento euro, la stessa somma che mio padre guadagna facendo lo stesso mestiere in Romania, ma lavorando per metà mese. Alla fine del secondo giorno mio zio, però, mi disse che c’era crisi e che dovevo restare a casa. Nei giorni successivi rincarò la dose e mi chiese di collaborare alle spese di affitto. Non avevo soldi e mi trovai in
un vecchio casolare a dormire insieme ad altri rumeni: eravamo un gruppo di sbandati. Non avevamo né acqua né elettricità e si viveva alla giornata. Poi, tutti insieme, abbiamo fatto una grande sciocchezza, ma a pagare qui dentro sono venuto solo. Due mesi dopo il mio arrivo in Italia, mi ritrovavo già in una cella. I miei genitori, quando hanno saputo quello che era successo, si sono arrabbiati con mio zio, che comunque ha trovato le parole per giustificarsi.
In Italia Sergio aveva come punto di riferimento uno zio. Il fratello di mia madre – continua Sergio – lavorava in Italia da diversi anni nel settore edile e mi propose di seguirlo. Accettai subito e venni qui ad abitare presso mio zio. Lavorai due giorni come muratore e guadagnai cento euro, la stessa somma che mio padre guadagna facendo lo stesso mestiere in Romania, ma lavorando per metà mese. Alla fine del secondo giorno mio zio, però, mi disse che c’era crisi e che dovevo restare a casa. Nei giorni successivi rincarò la dose e mi chiese di collaborare alle spese di affitto. Non avevo soldi e mi trovai in
un vecchio casolare a dormire insieme ad altri rumeni: eravamo un gruppo di sbandati. Non avevamo né acqua né elettricità e si viveva alla giornata. Poi, tutti insieme, abbiamo fatto una grande sciocchezza, ma a pagare qui dentro sono venuto solo. Due mesi dopo il mio arrivo in Italia, mi ritrovavo già in una cella. I miei genitori, quando hanno saputo quello che era successo, si sono arrabbiati con mio zio, che comunque ha trovato le parole per giustificarsi.
Sergio spera di restare in Italia: adesso non ha soldi e quando un giorno uscirà si augura di trovare un lavoro, altrimenti sarà costretto a tornare in Romania. Qui dentro – conclude Sergio – ho imparato a fare il grafico: è un lavoro che mi piace e che può permettermi di guadagnare onestamente. Un giorno, se riuscirò a realizzare i miei sogni, vorrei comprarmi una casa, avere una mia famiglia e aiutare le persone più povere.
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