Lungi dall’ostentare un vacuo buonismo, il libro di don Pietro Zardo intitolato “Condannati a vivere. La quotidianità dei detenuti del carcere di Treviso raccontata dal suo cappellano” (pubblicato da Ogm editore e distribuito dalla Tredieci, tel. 0422 440031), non intende svalutare l’importanza del carcere, o promuovere una mitigazione della pena, che anzi, specialmente per i delitti più gravi, deve restare severa e anzitutto “certa”, ma piuttosto vuole portare il lettore a riflettere su una realtà tanto dura alla luce di valori quali l’onestà intellettuale, la correttezza, il senso dello Stato e della solidarietà. L’ampio spazio dedicato alle riflessioni e ai commenti di persone della cosiddetta società civile ha dunque l’intento di avviare una discussione. Si possono non condividere in toto le riflessioni pubblicate nel volume, ma ènon sono state “tagliate” perché nella nostra Italia a fare censura ci pensano già tanti editori e giornalisti della carta stampata e della televisione. E' interessante, in particolare, la riflessione proposta dall’avv. Giovanni Formicola, per sottolineare che, in uno Stato dove l’aborto è legalizzato, ovvero dove lo Stato consente ad una persona di avere a disposizione una struttura sanitaria per eliminare un feto umano, non bisogna poi tanto meravigliarsi se alcuni cittadini non manifestano il dovuto rispetto per la vita altrui. Come non bisogna nemmeno meravigliarsi quando una persona che è rimasta detenuta in carcere in condizioni disumane per cinque o dieci anni, una volta uscita perché ha “pagato il suo debito con la società”, si mostra ancora un soggetto violento e capace di commettere delitti efferati. È giusto - ripeto - che chi sbaglia finisca in galera. Ciò che si chiede, però, è che in Italia ci sia la certezza della pena e che a questa pena non vengano aggiunte - come ha evidenziato don Pietro Zardo nel libro - inutili e dannose sofferenze, relegando i detenuti in ambienti poco o per nulla rispettosi della persona umana.
Lungi dall’ostentare un vacuo buonismo, il libro di don Pietro Zardo intitolato “Condannati a vivere. La quotidianità dei detenuti del carcere di Treviso raccontata dal suo cappellano” (pubblicato da Ogm editore e distribuito dalla Tredieci, tel. 0422 440031), non intende svalutare l’importanza del carcere, o promuovere una mitigazione della pena, che anzi, specialmente per i delitti più gravi, deve restare severa e anzitutto “certa”, ma piuttosto vuole portare il lettore a riflettere su una realtà tanto dura alla luce di valori quali l’onestà intellettuale, la correttezza, il senso dello Stato e della solidarietà. L’ampio spazio dedicato alle riflessioni e ai commenti di persone della cosiddetta società civile ha dunque l’intento di avviare una discussione. Si possono non condividere in toto le riflessioni pubblicate nel volume, ma ènon sono state “tagliate” perché nella nostra Italia a fare censura ci pensano già tanti editori e giornalisti della carta stampata e della televisione. E' interessante, in particolare, la riflessione proposta dall’avv. Giovanni Formicola, per sottolineare che, in uno Stato dove l’aborto è legalizzato, ovvero dove lo Stato consente ad una persona di avere a disposizione una struttura sanitaria per eliminare un feto umano, non bisogna poi tanto meravigliarsi se alcuni cittadini non manifestano il dovuto rispetto per la vita altrui. Come non bisogna nemmeno meravigliarsi quando una persona che è rimasta detenuta in carcere in condizioni disumane per cinque o dieci anni, una volta uscita perché ha “pagato il suo debito con la società”, si mostra ancora un soggetto violento e capace di commettere delitti efferati. È giusto - ripeto - che chi sbaglia finisca in galera. Ciò che si chiede, però, è che in Italia ci sia la certezza della pena e che a questa pena non vengano aggiunte - come ha evidenziato don Pietro Zardo nel libro - inutili e dannose sofferenze, relegando i detenuti in ambienti poco o per nulla rispettosi della persona umana.
Buona sera, mi fa piacere lettere su il suo sito, mi piacerebbe avere il libro pero non sto in Italia(si conosce perche non scrivo pene l'italiano) sono una ragazza romena pero ho il mio marito in carcere a Treviso
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